Non ci ho dovuto pensare molto, e ho deciso che questa è la definizione che maggiormente riassume, se occorre farlo, il senso del mio modo di essere e di stare nel mondo ell’informazione.
Il giornalismo, in Italia, si distingue come un lavoro governato da poche leggi, dettate per la maggior parte dal potere economico, e questo non lo rende diverso da ciò che accade in altri paesi del mondo. Ma ciò che più mi sgomenta non è questo, quanto piuttosto che la formazione di chi informa sia un argomento inesistente, se scusate il gioco di parole.
Si può dire, in altro modo, che la mia opinione è che la maggioranza delle mie colleghe e dei miei colleghi siano ignoranti, molto più ignoranti della media degli italiani che pretendono di informare, e in qualche modo, quindi di arricchire culturalmente.
Mi spiego.
Per fare qualunque altro mestiere, intellettuale e non, esistono scuole, università , corsi, e successivamente, durante gli anni, moltissime sono le occasioni di verifica e arricchimento del proprio patrimonio. Bene, per la professione giornalistica queste opzioni sono scarse, per non dire nulle. E nemmeno richieste dalla categoria.
Poche le scuole, pochissimi i corsi: si continua con il mito cinematografico del ’mestiere imparato sul campo’ ovvero nelle redazioni. Scusatemi, À una stronzata.
E’ vero: nella redazione si imparano alcune importanti modalità tecniche per scrivere, ma quasi mai si apprendono i contenuti di ciò che si scrive. E’ chiedere troppo che chi si occupa di questioni ambientali sappia maneggiare la materia, e non si limiti a passare i comunicati o pubblicare interviste agli esperti?
O aspettarsi che, se si fa un’inchiesta sui maltrattamenti verso le donne, non si ignorino 20 anni di storia politica, di iniziative e di testi scritti grazie al movimento delle donne? O pretendere che si riducano gli spazi del ’particolare carino di colore’ ( come era vestito il leader dell’opposizione, cosa hanno mangiato al pranzo di lavoro) se si parla di crisi economica, e si fornisca al pubblico una strumentazione concretamente utile, attraverso l’informazione, su che cosa è il wellfare, la globalizzazione o la scala mobile?
So bene che farsi queste domande porta inevitabilmente come corollario a chiedersi se siano le leggi della domanda o quelle dell’offerta a decidere cosa tiri e faccia vendere, e quindi di conseguenza quale livello di preparazione sia necessario per chi opera nel campo dell’informazione.
Di fatto, in 20 anni di frequentazione di questo mestiere, l’unico momento formativo del quale sono a conoscenza che un giornale abbia fatto (ammettendo quindi implicitamente la necessità di uscire verso l’esterno per cercare competenze che mancano dentro la redazione) è stato il Manifesto, che fece a suo tempo un corso - concorso per giovani giornalisti per avviarli ai temi dell’economia.
A chi mi dicesse che i tempi del mestiere giornalistico, specie per quel che riguarda i quotidiani e i servizi informativo della tv , sono sincopati e troppo veloci per consentire approfondimenti accurati mi sento di rispondere, anche rischiando di essere sbrigativa: " E’ vero, ma sono scuse"
Oggi sono tali e tanti gli strumenti tecnologici dei quali si può far uso (internet e archivi telematici, tanto per citarne due soltanto) che se davvero si vuole andare oltre il solito, comodo, sicuro pezzo su qualunque argomento scritto senza approfondire mai oltre-ciò-che-si pensa-il pubblico-si aspetti lo si continua a fare perché è la scelta più comoda, che spesso è sicura anche presso la proprietà, in quanto non mette in gioco alcun commento o informazione difforme dal coro.
lo stesso vale per l’argomento donne. Tante sono le donne che hanno, progressivamente in questi anni, fatto la loro comparsa nelle redazioni, a tutti i livelli. Anche se sono sempre di più gli uomini a ricoprire i posti di comando, sono quasi tutte donne le direttore dei magazine femminili, e molte sono le donne caporedattore, o inviate.
Ma questo ha cambiato davvero il modo di fare informazione, il suo linguaggio? Io penso che il modo di fare informazione cambia, e in modo considerevole, solo se le donne, a qualunque livello della gerarchia si trovino, adottano regole diverse, sia nei contenuti di ciò che scrivono, o propongono, sia nelle relazioni tra donne e uomini che instaurano. Uno per tutti, senza dilungarmi, À il contenuto che attiene al linguaggio. Se le giornaliste, consapevoli di quanto è importante abituare chi legge alle novità e farle diventare norma, introducessero la sessuazione del linguaggio, definendo ogni volta il maschile e il femminile abbandonando il neutro (assessora, ministra, inviata, ecc. intanto assolverebbero all’importante funzione di veicolare questo cambiamento. Poca la fatica, buono il risultato.
Quanto alle relazioni tra donne rimane per me importante un concetto che Marina Pivetta, direttora del Foglio del paese delle donne, ha espresso durante una riunione del Tavolo delle giornaliste. In quell’occasione Marina aveva indicato come uno dei motori più forti per disincentivare la competizione tra donne, specie tra le colleghe più anziane e quelle più giovani, la spartizione della propria ’agendina’, quello strumento ambito, misterioso e ricattatorio che contiene i numeri (riservatissimi?) attraverso i quali si accede alle persone che contano, e che quindi garantiscono il filo diretto per fare lo scoop, o comunque assicurarsi di essere la prima a sapere le notizie.
Marina sosteneva che sul divide et impera il patriarcato ha costruito la spaccatura nel mondo femminile, e quello sul lavoro è senza dubbio il conflitto più doloroso e mortale che possa scatenarsi tra due donne in lizza per la supremazia. Ma se si provasse a sgombrare il campo dalla competizione, e se quell’ agendina fosse invece a disposizione di tutte, per favorire la collaborazione al fine di incentivare e migliorare la qualità di ogni singole pezzo in ogni singolo comparto del giornale?
Passando a parlare dei contenuti un’altra domanda mi viene obbligata: quante giornaliste italiane che lavorano nella stampa mista sono a conoscenza che in Italia esistono una ventina di testate autogestite fatte da donne, in parte giornaliste e in parte no, ?
Quante di loro attingono a questo patrimonio come ad una fonte privilegiata, in pari dignità con altre alle quali si rivolgono di solito?
Lo sanno che la peculiarità italiana è quella di avere un foglio settimanale che arriva in abbonamento ( il Paese delle donne) che pubblica tutti gli annunci di iniziative di donne , che quindi raccorda i gruppi e le singole per quel che riguarda le manifestazioni politiche e culturali che si fanno in Italia, e un’agenzia quotidiana, anch’essa in abbonamento, che si chiama Dwpress, ed è a tutti gli effetti l’Ansa femminista?
Perchà, tranne il solito Manifesto non c’è stata notizia di nessuno dei 5 incontri tra le testate italiane, (uno addirittura finanziato, e bene, dal comune di Palermo due anni fa) , i cui indirizzi Marea pubblica ogni numero nelle pagine di Ultima Spiaggia?
No, non in molte lo sanno, in buona parte anche per la scarsa capacità di autopromozione delle testate femministe stesse. Eppure queste sono realtà lavorative e professionali che nulla hanno da invidiare alle tante esistenti negli altri paesi europei, i cui governi locali e nazionali dedicano maggiore attenzione. Non è forse venuto il momento di cominciare, da parte delle testate delle donne, di farsi fonte, ovvero di porsi all’attenzione anche degli stessi organi direttivi della categoria professionale, e verso quelli politici definendo proposte e programmi di formazione tematiche sul patrimonio del movimento delle donne?
Una proposta da elaborare, che questa testata vorrebbe lanciare anche in occasione del prossimo appuntamento di marzo, quando, in concomitanza con il primo numero del ’98, Marea organizzerà un convegno chiamando tutte le testate italiane a definire uno sforzo comune in questa direzione. Tra l’altro Internet ( e MAREA è presente all’indirizzo http://www.marea.it .) sta diventando una risorsa importante per le donne che fanno ricerca, scuola, informazione, cultura. E’ un luogo di scambio che, se usato con intelligenza e creatività , può diventare un ulteriore ponte tra distanze, differenze, linguaggi.
E molte tra le più rappresentative riviste delle donne sono presenti anche in Internet .
Se riteniamo di essere una fonte autorevole allora è il caso di dirlo a gran voce, diventando pienamente titolari presso gli altri enti di formazione per fare cultura e informazione di genere. Anche per questo, dopo tre anni di cartaceo, abbiamo intrapreso l’avventura di Internet. E nei primi mesi del prossimo anno saremo promotrici di molte iniziative per rendere visibile non solo la nostra, ma anche quella di tutte le realta’ di donne del movimento in internet al maggior numero di interessate. Perche’ il grande mondo delle parole e dei segni delle donne arrivi sempre più, e al maggior numero di donne possibile.
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